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80 anni compiuti lo scorso aprile, il professor Franco Berrino, noto epidemiologo e divulgatore sulle buone pratiche alimentari da seguire per prevenire le malattie, ha una vitalità e un’energia invidiabili. La sua ricetta per la longevità? Ha un ingrediente «segreto» che è alla portata di tutti. Spesso ascoltiamo o recitiamo gli adagi e i proverbi come se non avessero importanza, come se alla fine non dicessero la verità. Per esempio, prendiamo «L’età anagrafica non conta»: a ogni compleanno lo citiamo, sforzandoci di crederci davvero, anche se al primo specchio in cui incrociamo lo sguardo con la nostra immagine riflessa, cominciamo a preoccuparci delle rughe che avanzano. Francesca Favotto ha incontrato per “VanityFair” Franco Berrino che è stato in novembre dello scorso 2024. Ecco per intero l’incontro che ha avuto…
Eppure, succede di incontrare nella propria vita persone che incarnano esattamente questo assunto. Persone che hanno una vitalità e una vivacità interiore tale per cui il «guscio» esteriore passa in secondo piano. E ti sembra non vi sia corrispondenza tra il fuori e il dentro, forse perché davvero non c’è. Mi è capitato in presenza del professor Franco Berrino quando ho partecipato al ritiro di meditazione organizzato da Daniel Lumera, biologo naturalista ed esperto di pratiche legate al benessere, presso il centro L’incontro, in località Telti, provincia di Olbia: un luogo dove arte, scienza e spiritualità trovano una via comune per un dialogo fruttuoso, a favore del benessere delle persone. Franco Berrino, medico, epidemiologo, ex direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva dell’Istituto dei Tumori di Milano e fondatore dell’associazione «La Grande Via», era ospite attivo accanto a Lumera: entrati in contatto ormai dieci anni fa, da tempo collaborano per divulgare e diffondere il più possibile i benefici della pratica meditativa quotidiana e della prevenzione alle malattie ottenuta mediante un corretto stile di vita, che passa anche e soprattutto da un’alimentazione sana e il più naturale possibile. Ogni giorno, durante le meditazioni proposte, avevo modo di ascoltarlo, mentre ci metteva in guardia dalle insidie dei cibi raffinati o dell’eccessivo consumo di carne – e già questo era un grande esercizio per l’anima: Berrino ha quel modo di trasferire ciò che ha appreso con la sua vita professionale e privata, con quel modo garbato ma arguto, pieno di grazia e saggezza, che ti attrae e ti tiene incollato per ore. Ma ho avuto anche modo di osservarlo da vicino e ciò che mi ha rapito era il luccichio che aveva negli occhi: mentre recitava i mantra, mentre danzava i canti spirituali, mentre partecipava agli esercizi proposti da Daniel, mentre intratteneva il pubblico durante gli incontri, aveva negli occhi quel guizzo che ho trovato altre volte, ma in una particolare tipologia di essere umano: i bambini.
Nato a Fornovo di Taro, vicino al Passo della Cisa, in Emilia Romagna, nel 1944, «sotto le bombe», dopo essersi laureato in Medicina e Chirurgia, prendendo la specializzazione in Anatomia Patologica, ha poi dedicato tutta la sua vita professionale allo studio dell’epidemiologia dei tumori, per comprendere quale fosse la loro origine e come la prevenzione potesse aiutare le persone ad ammalarsi di meno. Conoscenze preziose che, una volta andato in pensione, ormai dieci anni fa, ha deciso di raccogliere nel libro Il cibo dell’uomo, edito da Franco Angeli, «un libro che ho scritto con lo scopo di restituire a tutti i pazienti che avevo incontrato per i miei studi ciò che avevo appreso grazie a loro», mi racconta, sorridendo. «Senza fare pubblicità, ebbe un successo enorme, solo grazie al passaparola. Quando la casa editrice mi staccò il primo assegno di 50 mila euro, non ci potevo credere. Però compresi che c’era un ascolto reale: le persone avevano «fame» di sapere come poter vivere meglio, seguendo uno stile di vita il più possibile naturale. Così capii che il mio cammino come medico non era ancora concluso: iniziai a divulgare ed evidentemente non ho ancora finito».
Oggi che si fa un gran parlare di longevità, e che l’aspettativa di vita alla nascita si è allungata ancora un po’ – dati Eurostat 2023 rispetto all’Unione Europea riportano come cifra 81,5 anni, in aumento di 0,9 anni rispetto al 2022, con un’aspettativa di vita media di 83,8 anni in Italia -, il punto non è più come fare a vivere più a lungo, ma come arrivarci con un livello di benessere tale da consentire un’esistenza vitale e dignitosa.
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Così l’ho chiesto direttamente al professor Berrino: non i soliti consigli su che alimentazione seguire o sull’efficacia del digiuno, ma i suoi «segreti» per arrivare a 80 anni con una voglia di vivere contagiosa. Ricucendoci un angolo nostro in mezzo a quella pace, sono andata dritta al punto.
Professor Berrino, restando in tema alimentare, quali sono stati e sono tutt’oggi gli ingredienti della sua ricetta per arrivare alla sua età con la vivacità di un fanciullo?
«A saperli… (e ride di gusto, ndr). Potrei dirle, così su due piedi, i primi che mi vengono in mente: la mia fame di curiosità e la mia ricerca della bellezza».
Le va di cominciare da qui, spiegandosi meglio?
«Nei miei sogni di bambino, non vi era quello di diventare medico: io sognavo di fare l’architetto, per costruire case bellissime, forse in risposta al fatto di essere nato e poi cresciuto in una zona mineraria, in cui si respirava amianto. Mia madre mi partorì in casa, come si usava una volta, la notte in cui venne bombardata la ferrovia del mio paese: io venivo alla luce, mentre mio fratello maggiore spostava il materasso per riparare nostra madre dalle schegge. L’eco di quelle bombe mi è rimasta dentro e forse un po’ ho risentito anche dell’angoscia di mia madre, quando seppe di essere rimasta incinta in quell’autunno del 1943, in piena guerra. Ecco, forse in risposta a tutto questo, ho sempre avuto fame di bellezza. O forse semplicemente perché mia sorella Maddalena, più grande di me di 5 anni, cominciando a studiare Architettura all’università, un po’ mi ispirò».
Le cose poi sappiamo essere andate diversamente…
«Durante gli anni del Liceo, frequentavo le biblioteche pubbliche e cominciai ad appassionarmi di psicanalisi: Freud, Jung… Ero curioso di sapere come potesse funzionare la mente umana, ma c’erano poche pubblicazioni disponibili. Quella passione mi spinse a prendere in considerazione gli studi di Medicina, a indirizzo Psichiatria, frequentavo anche il manicomio di Via Giulio a Torino, andavo a lezione da psichiatri locali, ma non c’era stato nessuno che mi avesse “illuminato”, nessuno che potessi chiamare mentore, in cui riconoscere un Maestro».
Cosa che invece trovò all’Università…
«Sì, all’Università di Torino, dove poi mi laureai nel 1969, faceva lezione l’anatomopatologo Giacomo Mottura (morto nel 1990, ndr) con un tale trasporto che mi infervorò. Aggiungiamo anche che erano anni straordinari in cui studiare e immergersi nella cultura, gli anni della rivoluzione sessuale, anche se vivendoli in diretta, non avevo chiara la portata di quello che stava accadendo».
Quindi è stata la curiosità il filo conduttore che l’ha guidata in tutta la sua lunga carriera?
«Non mi sono mai accontentato delle risposte facili, delle “vie larghe”: forse per questo, sono finito a lavorare all’Istituto dei Tumori di Milano, quando Umberto Veronesi nel 1975 mi chiamò per redigere il primo registro italiano dei tumori in Lombardia. Provenivo da un’esperienza in Costa d’Avorio in cui mi ero occupato proprio di quello, quindi sapevo il da farsi. In quegli anni, inoltre, Veronesi stava esplorando la via della chirurgia conservativa del cancro alla mammella: invece di mutilare il seno di una donna per curarla dal cancro, perché non asportare solo le sezioni interessate dalla neoplasia? Io volevo approfondire proprio questo: possibile che non vi fosse un modo per prevenire l’insorgere di una simile patologia, prima di ricorrere alla chirurgia o alla chemioterapia, che in quegli anni stava ottenendo i primi successi?».
Ebbe decisamente una risposta affermativa, visto poi il suo costante lavoro di divulgazione sull’alimentazione sana e naturale…
«Tutto partì con lo studio ORDET (acronimo per “ormoni e dieta nell’eziologia dei tumori”, ndr) nel 1985: Veronesi mi reperì i fondi per portare avanti questo studio di coorte prospettico, che – lo avvertii – avrebbe dato i primi risultati solo dopo una decina di anni. Pensi che ordet in danese significa Vangelo…».
Che «verità» scoprì con questo studio?
«Come prospettato, nel 1995 arrivarono i primi risultati, nel 1996 la prima pubblicazione: le donne si ammalavano di più se nel sangue erano presenti livelli di glucosio e di testosterone più alti. Un risultato che approfondimmo con lo studio DIANA, su dieta e androgeni: misurammo il livello ormonale di 300 donne in menopausa. Un centinaio di queste, quelle con il testosterone più alto, dovevano seguire una dieta controllata, fatta prevalentemente di frutta e verdura, cereali integrali, niente zuccheri, pesce… Ebbene, dopo 5 mesi i valori dell’insulina e del testosterone nel sangue di erano ridotti drasticamente. Bingo! Questo tipo di prevenzione era parte integrante della cura e segnò poi il mio cammino, una volta in pensione». «Via larga e via stretta», «Vangelo»…
La spiritualità è centrale nella sua vita, ma quanto l’ha aiutata nello sviluppo del suo benessere?
«Sa che la religione cattolica l’ho sempre combattuta? Tutti quei dogmi e quei precetti imposti me la facevano apparire come distante, pesante… Credo che uno dei drammi di questo presente siano le imposizioni e il pochissimo spazio che si riserva alla vita spirituale. La mia dimensione spirituale è sempre stata accesa e attiva, medito sin dall’età di 14 anni, ero incuriosito da quello che poteva esserci Oltre, ma da dieci anni a questa parte, dopo la pensione, questa dimensione si è accresciuta notevolmente».
E questa spiritualità ha mai interferito con il suo lavoro di medico?
«No, anzi, ne ha ampliato le vedute. A inizio anni Novanta, ho incontrato sul mio cammino la medicina Tibetana, mentre ero in India dal Dalai Lama. A colloquio con il dottor Pasang, grande esperto di medicina tibetana, capii come la medicina non passa solo per la conoscenza, ma anche per l’intuizione: mi fece vedere un’enorme distesa gialla, era sesamo e mi spiegò che lo impiegavano per curare le malattie delle ossa. Io risposi, dall’alto del mio sapere: «Certo, è ricco di calcio». Lui mi spiazzò: «Noi non lo sapevamo, lo usiamo semplicemente perché è caldo e umido, mentre le ossa sono secche e fredde» (nella medicina tradizionale cinese e in quella tibetana, di fronte a un disturbo qualunque, prima di prescrivere la terapia, si deve constatare se si è in presenza di eccesso o deficit di Yin o Yang, quindi se si manifesta con una sintomatologia da freddo o da calore, ndr)».
Sappiamo anche che ha trascorso un lungo periodo in solitaria sulle vette dell’Himalaya…
«Fu tra il 1997 e il 1998: chiesi alla mia sposa (sua moglie Josette, morta nel 2020, ndr), se la mia esigenza di andare a ritrovarmi su quella sacra montagna le arrecasse disguidi a casa. Sentivo la necessità di stare da solo, così partii, e percorsi quei sentieri impervi a piedi. Già ero avvezzo a leggere il Tao Te Ching, i testi sacri della tradizione indovedica, come i Veda o la Bhagavad Gita, ma in quel frangente mi riavvicinai alla tradizione cristiana: ripresi a leggere la Bibbia e il Vangelo, senza intermediari. È stupefacente rendersi conto di come tutti i più grandi Maestri illuminati predichino la stessa identica cosa, e cioè che è l’amore a salvarci sempre».
Anche per lei è stato così?
«Assolutamente sì, ma non voglio soffermarmi sulla storia con mia moglie, sulla quale ho già detto troppo. In generale, posso asserire con assoluta certezza che bisogna cercare di circondarsi di persone amorevoli, provando a star lontani dalle persone tossiche. Anche sul lavoro, dove so che bisogna talvolta ricercare il compromesso e abbozzare. Ma una cosa ho imparato a farla: bisogna sempre avvicinarsi alle persone con gentilezza, mai con indifferenza, sempre senza giudizio. Ognuno di noi contiene meraviglia e bellezza, basta solo aver voglia di scavare nel profondo».
E lei cosa ha trovato, scavando in questa umanità contemporanea?
«Un crescente bisogno di infinito, di trascendenza, ma la costante paura di affacciarsi su questo panorama. Siamo profondamente schiavi dell’obiettivo di affermarci, ma per un bisogno di essere riconosciuti e approvati dagli altri, non per un senso di accrescimento ed espansione della nostra anima, che anela all’Oltre, da sempre e per sempre. È una affannata rincorsa non si sa nemmeno a cosa, perché non si ha l’umiltà di fermarsi e stare in ascolto delle domande che l’anima pone. Quando incappo in una persona timida e umile, mi commuovo: oggi, in una società che incoraggia a diventare arroganti, ad alzare la voce, a me viene da dire a queste persone “mantenetevi umili per tutta la vita”».
Ne ha incontrate tante, di persone così?
«Tantissime, più di quante si pensi. Ma sa, dentro di noi tutti abbiamo quel fanciullo, che crescendo tendiamo a dimenticare, a relegare in un angolo. Quel fanciullo che invece sa meravigliarsi davanti alle cose piccole del mondo, è colui che ci salverà: quando durante gli incontri di meditazione, cantiamo i mantra insieme, è incredibile osservare gli occhi delle persone che si lasciano andare in un canto collettivo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Mi soffermo sempre a innamorarmi di quel bagliore che ricomincia a brillare nei loro occhi… Ecco, questo luccichio va conservato: un cuore che sa emozionarsi e meravigliarsi è la strada per restare vivi per sempre».
Questo bagliore lo trova anche negli occhi delle nuove generazioni, a cui – si dice – abbiamo «rubato» il futuro?
«Sa una cosa? Sono pessimista riguardo le istituzioni, ma sono ottimista per quanto riguarda i nostri giovani: forse sarò un ingenuo, ma io sono convinto che ce la faranno a liberarsi da questi schemi imposti da una società ormai obsoleta, che non riesce ad aprire gli occhi sulle cose che contano davvero. Quando ci furono i Fridays for Future, in cui milioni di ragazzi e ragazze si riversarono per le strade in centinaia di città in tutto il mondo per chiedere ai politici di impegnarsi seriamente e concretamente a favore del clima, mi si inumidirono gli occhi: i politici non faranno niente di concreto, ma i giovani hanno il potere, possono dare messaggi importantissimi, possono far crollare le borse con le loro scelte assennate. Non devono chiedere niente a nessuno: loro sono già il futuro, se mettono il loro potere a servizio del bene comune».
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