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Il calo demografico che registra l’Italia fa sentire anche nella grande distribuzione i suoi effetti. Si calcola che manchino all’appello 280mila lavoratori. Intanto cambiano gli acquisti e cresce la spesa a domicilio. Sul tema si è espresso Mauro Lusetti che sarà invitato a «foodfestivalretail». Manca il personale, certo. Ma vanno gestiti anche i flussi dei migranti e formati i lavoratori. Il primo problema che la Grande distribuzione deve affrontare come conseguenza del calo demografico, spiega Mauro Lusetti, presidente di Conad, è quello della carenza del personale, alla quale una gestione oculata dei flussi migratori potrebbe sopperire solo in parte. E il fatto che in Italia i residenti siano sempre meno comporta anche una serie di altri problemi: il confezionamento dei prodotti, che punta sempre meno sulle grandi offerte; la desertificazione delle aree interne e del Mezzogiorno. I supermercati e i grandi centri commerciali sono anche alle prese con un aumento della consegna della spesa a domicilio, frutto di una società in cui le persone, anziane ma non solo, spesso fanno fatica a spostarsi per comprare quello che serve loro.
Mauro Lusetti ha iniziato il suo percorso professionale nel 1974 in Legacoop Modena, approdando per la prima volta nel mondo Conad nel 1980, presso la associata Mercurio Modenese. In seguito, ha ricoperto ruoli crescenti nel Consorzio e nelle cooperative associate, fino a ricoprire dal 2001 al 2014 la carica di Amministratore Delegato della cooperativa Nordiconad. Dal 2014 al 2023 è stato Presidente di Legacoop, prima di essere nominato a maggio 2023 Presidente di Conad. Il suo è un punto di osservazione privilegiato. Può sentire il polso della nazione da nord a sud. Ed è proprio il calo demografico, con tutte le sue conseguenze sulla composizione dei consumatori italiani, il grande tema al centro dell’intervista a Mauro Lusetti, presidente di Conad e Adm, già pubblicata su Il sussidiario. La domanda è cambiata molto rispetto al periodo anni ’70-’90: oggi assistiamo a uno scenario in cui le esigenze sono diverse, come spiega Lusetti: “L’aumento dei nuclei familiari composti da persone sole, a volte separate, altre volte anziane, altre ancora che vivono così per scelte personali, incide certamente sulle confezioni. Le offerte speciali, che riempivano la dispensa, sono in netto calo e in forte selezione: hanno diminuito la loro capacità di presa sul pubblico in maniera evidente. Le persone, anche e soprattutto quelle sole, fanno acquisti più frequenti, in quantità più basse. Le grandissime confezioni destinate alle famiglie con 4, 6, 8 persone praticamente non ci sono più. Le grandi offerte non hanno più la stessa presa che avevano fino a qualche anno fa”.
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Come sta risentendo la Grande distribuzione del calo demografico? Come incide sulle dinamiche del settore?
«Il nostro Paese, ma generalmente tutta l’Europa, è in calo demografico da tempo. Abbiamo un tasso di fertilità che è uno dei più bassi al mondo, con 1,24 figli per donna nel 2023, e un’età media che sta pesantemente crescendo, arrivando a 46 anni. Credo che la questione, per certi versi, stia rasentando la drammaticità: anche attivando politiche per il sostegno alle famiglie che vadano al di là degli incentivi o dei bonus, queste produrranno effetti dal punto di vista sociale ed economico tra vent’anni, finito il ciclo di crescita e di studio delle persone. Ma nel frattempo dovremo affrontare una situazione difficile da sostenere: nella Grande distribuzione la differenza tra la domanda e l’offerta di lavoro, misurata da Confcommercio, è di 280mila unità».
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Un problema al quale c’è bisogno di risposte immediate. Quali?
«Non possiamo aspettare, c’è l’assoluta necessità di affrontare un altro tema che ha una dimensione politica enorme. Parlo della gestione dei flussi migratori, che non è pensabile affrontare solo dal punto di vista dell’ordine pubblico. Occorrono politiche inclusive, gestione dei flussi, accoglienza: tutti elementi che vanno tenuti in considerazione accanto anche al tema della sicurezza, che non va messo in secondo piano. Il calo demografico, d’altra parte, non può essere affrontato esclusivamente attraverso politiche di sostegno alla natalità e alla famiglia, che daranno frutti ed effetti da qui a metà secolo».
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Il calo del numero dei residenti quali problemi comporta dal punto di vista della produzione e dell’organizzazione del lavoro?
«Nel breve e medio periodo faremo i conti con un numero inferiore quantomeno di italiani residenti: nel 2014 sfioravamo i 61 milioni di abitanti e dieci anni dopo siamo sotto i 59 milioni (-2,2%). Vuol dire che, a lungo andare, con questi numeri non solo va in tilt qualsiasi tipo di previsione dell’andamento dei consumi e delle vendite di beni, ma un intero sistema, a partire dalla sanità e dall’assistenza sociosanitaria. Saranno sempre meno le persone che lavorano e versano contributi a sostegno del sistema sanitario nazionale e sempre di più quelli che lo utilizzano».
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Questo contesto per la Grande distribuzione cosa significa?
«Noi facciamo i conti quotidianamente con l’andamento delle vendite e con la presenza nei nostri punti vendita dei consumatori, che non solo sono meno rispetto al passato, ma sono profondamente diversi: il modo di consumare e di nutrirsi è oggettivamente molto diverso rispetto al passato. Intanto, c’è il tema della presenza di stranieri, di immigrati o di nuovi italiani, che sfiora il 10% della popolazione. Lo si vede nelle richieste di prodotti che vanno al di là delle nostre tradizioni alimentari e culinarie».
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Come sono cambiate le esigenze dei clienti dal punto di vista del servizio?
«Il rapporto tra popolazione attiva, che lavora, e popolazione passiva, che non lavora, si sta sbilanciando a favore della seconda e questo incide, per esempio, sul tema della mobilità, della vendita di prodotti di tipo salutistico, della ricerca di servizi».
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Quindi c’è più gente che fa fatica a muoversi e bisogna consegnarle a casa la spesa?
«C’è il tema della consegna a domicilio ma anche della rivalutazione dei punti vendita di vicinato. Abbiamo passato un’epoca, negli anni 70-80-90, alla fine del secolo scorso, in cui sembrava che la grandissima superficie, i grandi ipermercati, fosse ciò che i consumatori chiedevano. Ma è emerso plasticamente durante il Covid come i punti vendita di vicinato siano invece quelli che garantiscono un servizio a una popolazione che sta invecchiando e che ha sempre più difficoltà a muoversi. La consegna a domicilio, con tutte le difficoltà che derivano dal modo in cui sono fatte le città, sta crescendo, accanto alla rivalutazione dei punti vendita di media dimensione, che garantiscono un servizio di vicinato».
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Il fatto che ci siano sempre più coppie che non hanno figli o che ne hanno uno solo, o persone che sono single, anziane e non solo, come cambia, per esempio, il confezionamento del prodotto?
«Cambia profondamente la domanda: l’aumento dei nuclei familiari composti da persone sole, a volte separate, altre volte anziane, altre ancora che vivono così per scelte personali, incide certamente sulle confezioni. Le offerte speciali, che riempivano la dispensa, sono in netto calo e in forte selezione: hanno diminuito la loro capacità di presa sul pubblico in maniera evidente. Le persone, anche e soprattutto quelle sole, fanno acquisti più frequenti, in quantità più basse».
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Come vi siete adattati a questa situazione?
«Le grandissime confezioni destinate alle famiglie con 4, 6, 8 persone praticamente non ci sono più. Le grandi offerte non hanno più la stessa presa che avevano fino a qualche anno fa, perché il cliente consuma meno e spesso consuma fuori casa. Inoltre, ha una disponibilità di reddito spendibile per l’alimentazione che è più bassa rispetto al passato».
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Secondo i dati Istat, è il Sud (il 62% dei comuni perde popolazione contro il 31,9% del Centro-Nord) a subire più di altri il calo demografico, che si sente maggiormente nei paesi dell’interno. Questo significa che il sistema dovrà ripensare anche alla dislocazione dei supermercati?
«Sono stato presidente di Legacoop nazionale e mi è capitato di andare in un piccolo comune in provincia di Belluno a festeggiare i cento anni di una cooperativa di consumo. Al presidente ho chiesto come andava. Mi ha risposto che non andava bene perché l’anno prima erano morte due persone ed era stato perso il 10% delle vendite.
È un episodio, ma se si pensa non solo alle zone del Centro-Sud, ma a tutte le aree interne, all’Appennino, alle montagne, ci si rende conto di una situazione che solo in parte si riesce a frenare se c’è una politica attenta. Le nuove tecnologie, lo smart working, la possibilità dei collegamenti attraverso la rete possono consentire a queste aree, attraverso una seria politica di mantenimento dei servizi, di ritrovare una nuova vita».
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Cosa bisogna fare?
«Bisogna creare le condizioni affinché un giovane decida di rimanere in un paese dell’Appennino emiliano-romagnolo, anziché stabilirsi a Bologna, a Modena o a Milano. Se non si creano queste condizioni, non resterà in piedi la scuola, bisognerà chiudere i presidi sanitari e tutto questo si porterà dietro anche i punti vendita».
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Quindi strutture in cui si trova un po’ di tutto?
«In alcuni paesi, come la Svizzera o l’Austria, ci sono strutture con la posta, lo sportello bancario, il punto vendita alimentare e un centro internet, fornendo una serie di servizi che consentono a chi vuole restare in quel paese di essere comunque collegato e connesso col resto del mondo».
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